domenica 15 maggio 2011

La scuola che vorrei.

Beniamino Brocca



Ha fatto, recentemente, la sua comparsa nelle librerie, un saggio scritto a più mani, dal titolo: <<Anni ’70. I peggiori anni della nostra vita>>. Questo giudizio, un po’ sconvolgente, deriva dalla convinzione che il Welfare, il Mercato, le Istituzioni e la Scuola di oggi, siano refrattari a ogni tentativo di modernizzazione a cagione delle tesi emerse negli “anni settanta”. Il turbamento aumenta quando si legge, nella introduzione redatta da un ministro del governo in carica, che occorre <<una volta per tutte dimenticarli>>. All’amico ministro (amico perché fummo ambedue impegnati allora in politica: io al fianco di A. Moro egli al fianco di B. Craxi ), dichiaro l’indisponibilità alla dimenticanza. No, non voglio scordarli perché nel passato c’è la nostra dignità; perché la storia – come ricorda A. Gramsci in una “lettera”a suo figlio Delio -<<riguarda tutti gli uomini viventi […..] in quanto si uniscono, lavorano, lottano e migliorano se stessi>> per cui <<non può non piacere più di ogni altra cosa>>; perché in quella stagione del confronto solidale si sono vissuti momenti tragici ed esaltanti insieme, da non rinnegare; perché quegli anni, nonostante siano stati di “ piombo”, generarono a vantaggio della scuola – in un clima sconvolto da impetuose emergenze e da fiduciose riprese (turbolenze e schiarite) – le Proposte di Frascati ( 1970 ) con i rinomati “ 10 punti “; la legge 820/71 che introdusse le attività integrative, gli insegnanti speciali e la formula del tempo pieno; la legge delega 477/73 seguita dai famosi cinque decreti delegati; la legge 517/77, pietra miliare del rinnovamento, dominata dal criterio della compensazione e accompagnata dall’integrazione dei disabili, dalla valutazione promovente e dalla programmazione educativa; la legge 845/78 in materia di formazione professionale regionale.
Se la scuola,oggi, è “bloccata” ( Z. Bauman direbbe “ liquefatta”) non è colpa degli <<Anni ‘70>>, ma di chi in nome della “ libertà e responsabilità” ha introdotto conformismo e facilismo, inducendo la scuola – nell’attuale contesto di scontro politico, di deperimento culturale, di miasma morale, di omologazione massmediale, di intemperanza deontologica…- a commettere ( fortunatamente solo in parte) alcune dissipazioni che non si possono nascondere. Infatti… ieri si guardava innanzi , oggi si guarda indietro (non si cammina verso orizzonti nuovi, ma verso recinti retrivi): è la sindrome del gambero che crede di avanzare mentre arretra; ieri si sosteneva la continuità, oggi si marca una discontinuità ( non si tende alla progressione, ma alla frenata): è il trucco di Penelope che azzera di notte il lavoro del giorno; ieri si cercava il consenso, oggi si fomenta il dissenso ( non si curano gli interessi della gente, ma gli istinti del populismo) : è l’arroganza del gallo il quale crede che il sole si alzi per sentirlo cantare; ieri si coltivava la strategia, oggi si predilige la tattica ( non si assume una visione prospettica, ma una convenienza occulta) : è il destino del cavalluccio marino che errando nell’oceano senza méta finisce nel ventre di un pescecane. Compaiono, qui, quattro parole chiave del riformatore serio e senza retorica ( non del riformista frivolo e senza sobrietà). Esse sono innanzi, continuità, consenso, strategia: sono le sole in grado di sconfiggere i comportamenti deformati sia dei giacobini, sia dei sanfedisti.
Lucy, la cinica e nevrotica sorella di Linus, con ironia disarmante pronuncia una sentenza assai arguta: <<La vita è come una sedia a sdraio. C’è chi la mette a poppa per vedere il mare già solcato, c’è chi la mette a prua per vedere ciò che si affronterà. E tu dove la metti la sedia a sdraio?>> Charlie Brown, il perdente instancabile, sussurra <<Non sono riuscito ad aprirne una…>>. Noi che sappiamo aprirla, dobbiamo metterla a prua per scorgere quello che sta per arrivare nel sistema educativo italiano, soprattutto per capire ciò che si respinge e ciò che si auspica per l’istruzione e la formazione di domani.
Si respinge la inversione di direzione impressa silenziosamente alla scuola del nostro Paese.. come si trattasse di una vecchia locomotiva spinta su un “ponte girevole” per svoltare il senso di marcia. Si è di fronte a un “espediente” che suscita almeno quattro ordini di perplessità.
Questa operazione non fa rima con innovazione in quanto si riduce a recuperare ( come non ricordare i “ recuperanti” di M. Rigoni Stern) i residuati arrugginiti di lontane battaglie pedagogiche e didattiche e abbandonati essendo inservibili. Questa operazione non fa rima con tradizione in quanto si rifiuta di ambientare nel presente e nel futuro le migliori esperienze (comprese le buone pratiche degli istituti), gettandole invece nella discarica delle immondizie, insieme alle positive sperimentazioni attuate.
Questa operazione non fa rima con rivoluzione in quanto si dimostra incapace di comprendere che le trasformazioni profonde e durature sono compiute solo da chi sa quel che perde e quel che guadagna.
Questa operazione non fa rima con ricostruzione in quanto si percepisce immediatamente che sulle macerie fumanti crescono le sterpaglie, mentre la scuola nuova si edifica esclusivamente intorno alla “ fontana antica” ( cioè al nucleo dei bisogni e delle attese educativi delle giovani generazioni).
Si auspica, perciò, la realizzazione di una scuola di pensiero avendo come idea stellare un pensiero di scuola. E’ questo un postulato che esige qualche chiarimento.
Innanzitutto, una scuola di pensiero è quella che combatte la logica sbrigativa dell’adessismo, del pressappochismo e del superficialismo, contraria al recepimento della complessità; che ripudia il restringimento del sapere intorno alle “ 3 i”; che assume un punto di vista pedagogico nell’affrontare tutti i problemi; che rilancia la centralità dell’educazione con i suoi due complementi di specificazione: l’istruzione e la formazione; che ritiene la persona umana la misura di tutte le cose; che unisce ideazione e azione, essere e avere, intelligenza e cuore, cognizione e relazione,scienza e tecnologia; che rivaluta la funzione docente con la conseguenza di accreditare tre riconoscimenti: giuridico, professionale, economico.
Inoltre, un pensiero di scuola, in grado di guidare le scelte di istruzione e di formazione del sistema educativo, è quello che accorda una priorità, nell’ambito delle politiche nazionali, alla istituzione medesima assegnando per intero le risorse economiche necessarie per il suo sviluppo; è quello che ne prevede una “ navigazione “ in cui si pratica….
da un lato, l’arte del timore, intesa come maestria nel mantenere o nel cambiare orientamento. Essa si esplica in una triplice dimensione: in lunghezza, alla volta delle urgenze aggiornate dell’insegnamento - apprendimento; in larghezza, in presa diretta con la realtà ambientale; in altezza, nei pressi degli ideali (valori) che ispirano le opere quotidiane effettuate da chi ha la missione di istruire e formare,
da un altro lato, l’arte della vela, intesa come abilità e perizia di manovra, indispensabile per sfruttare l’impulso dei “venti”,il quale produce il movimento dell’intera struttura. Essa (l’arte della vela) intercetta, infatti, gli aspetti ordinamentali e curricolari del sistema educativo e si cimenta con il mandato da assolvere (costituito dalla crescita dell’autonomia personale e dal possesso delle competenze teorico-pratiche), con il dovere da espletare (costituito dal contributo da recare alla propagazione dei valori dell’interazione) e con l’affidabilità da inventare per suscitare l’adesione al progetto; si cimenta con l’impianto nazionale in difesa sia delle omogeneità dei fini generali sia del retaggio delle diverse identità storico-sociali; si cimenta con un modello pluridirezionale concepito come una via maestra dotata di due o più corsie parallele che permettono il passaggio dall’una alle altre, in corrispondenza della destinazione e della vocazione degli “utenti”; si cimenta con lo strabismo ancora imperante dell’assetto attuale che punta a fornire una cultura solida a tutti e una specializzazione definitiva a ciascuno (dualismo impraticabile per cui si impone una opzione in favore di un’ipotesi “generalistica” con un rinvio della professionalizzazione specialistica a una fase post-secondaria non universitaria); si cimenta con il principio della unitarietà nella differenziazione attraverso la riduzione delle diversità di natura e il mantenimento delle diversità di funzione per cui le discipline vengano “curvate” a seconda degli indirizzi; si cimenta con il ruolo della formazione professionale regionale da riabilitare in vista anche dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione; si cimenta con l’annosa questione del raccordo tra la scuola statale e non statale offrendo a quest’ultima una parità autentica e condizionata, meno disparata di quella vigente.
Si può concludere con un sentimento di fiducia nei confronti dell’istituzione scolastica: dei suoi protagonisti e dei suoi “contatti”. Viene spontaneo ricordare l’osservazione di Alice, all’inizio del suo viaggio nel <<Paese delle meraviglie>>, allorché sbirciando il libro che la sorella sta leggendo, si accorge che è senza figure e senza dialoghi e si domanda: <<A che serve un libro senza figure e senza dialoghi?>>....A che servirebbe una scuola senza figure e senza dialoghi?
Ma nella scuola italiana le figure degli alunni e dei docenti non sono sbiadite o insignificanti e i dialoghi interni ed esterni, sebbene un po’ affievoliti, non sono estinti o sterili.