domenica 15 maggio 2011

La scuola è di tutti. Un libro di Girolamo De Michele.

Un’insolita “autobiografia “professionale” e istituzionale.

<< G. De Michele, “La scuola è di tutti”, Edizioni Minimum fax, Roma, 2010 >>

Rosanna Facchini

Per inveterata abitudine di lavoro, quando affronto un nuovo libro comincio dall’indice. E qui, nonostante i miei pregiudizi sulla proliferazione di resoconti di vita scolastica che stanno imperversando da un po’ – Mastrocola,D’orta…et alii), e i cui contenuti trovo perlomeno discutibili,se non del tutto inutili e fuorvianti,sono stata subito catturata.
Dopo le classiche avvertenza e introduzione,infatti,trovo “Vita narrata di un insegnante per caso” ed è scattata la curiosità;riparto dall’inizio e comincio subito da lì,passando rapidamente dall’avvertenza.Chi ha scritto la circolare dell’USR Emilia Romagna in cui si invitano i dipendenti pubblici del comparto scuola ad “astenersi da dichiarazioni o enunciazioni che in qualche modo possano ledere l’immagine dell’Amministrazione Pubblica”,impermeabile al fatto che, forse,sono proprio queste esternazioni e i comportamenti concreti di molti ,troppi, dipendenti pubblici a ledere l’immagine e altro, è ancora lì a sostituire un Direttore Generale, che non c’è più da un pezzo e,parafrasando l’autore che parafrasa a sua volta “l’indimenticabile Moustache… ma questa è un’altra storia….”
Io che,quarant’anni fa, ho fatto la “maestra per destino” - che non ha nulla a che vedere con l’orgasmo vocazionale della “florencenightingale dell’educazione”,ma che ha tutto a che vedere con la condizione socioeconomica e socioculturale della mia famiglia (contadini semianalfabeti, tuttavia ricchi di quella cultura vissuta e lettori accaniti della stampa quotidiana ,mensile e settimanale di quel pedagogico comunismo del primo dopoguerra ) - ho trovato strategiche consonanze con questo mio giovane collega ,che nasceva proprio quando io ho iniziato le magistrali. Non voglio certo qui raccontare la mia odissea culturale e professionale ,mi interessa solo rilevare la simpatica ed efficace azione di smontaggio di uno dei pre-giudizi di più lunga durata :l’insegnamento non come mestiere/lavoro,ma come vocazione al femminile,se persino il gelminipensiero si attorciglia a perorare “il maestro unico” perché ai bimbi piccoli occorre “un surrogato di mamma”…qualche dubbio sulla consecutio temporum nei detti/scritti della signora l’avevo anch’io,adesso mi sorge il sospetto che non abbia ben chiaro neppure la concordanza di genere e numero…!
Mentre quelli che fanno (NON sono) gli insegnanti lo si capisce con molta evidente chiarezza da questa insolita autobiografia, che in realtà è una biografia collettiva di chi lavora nella scuola della Repubblica e si interroga continuamente ,confrontandosi con i dati di realtà e con i sogni delle nuove generazioni, sul quid del proprio mestiere,che non è mai dato, una volta per tutte .
Difficile ripercorrere tutto il testo,anche in sintesi:mi limiterò pertanto ad segnalare quelle che ritengo le più significative evidenze del cambiamento incessante che ha comunque percorso la scuola pubblica,nell’afasia costante della politica (o magari proprio grazie a quest’assenza..?!). Del resto autonomi non si diventa mica per legge : il paradosso della comunicazione “sii libero!” di P. Watzlawick, può benissimo essere mutuato per un nuovo pertinente ossimoro : “sii autonomo!”.
Ed ecco allora che, nei sei capitoli e nei due intermezzi,completati da un’appendice e da un epilogo,articolati in trent’otto paragrafi - tranquilli sono solo 321 pagine,se si esclude la corposa bibliografia e sitografia ,nonché le note a pie’ di pagina – si dipana una storia individuale e collettiva di una scuola di qualità,quando e se la si lascia lavorare.Sono pagine che si leggono d’un fiato,ma che poi si vogliono,si debbono, rileggere perché come ogni buon insegnante sa ,il buon esito di una comunicazione, anche didattica, non è quello di dire proprio tutto,perché chi lo dice sa tutto,ma è quello di suscitare curiosità e interesse per andarsi a cercare o quello che manca, o quello che si vuole sapere di più,o ancora quello che viene pensato autonomamente da chi ascolta o da chi legge.
Vi segnalo tutta la parte relativa alla valutazione,per la quale è davvero d’obbligo premettere che non di solo INValSI si tratta e neppure degli alti lai suscitati dall’estensione di tali prove anche alle scuole secondarie superiori :il prof. De Michele è assiduo frequentatore di tutte le svariate casistiche,metodologiche e contenutistiche della misurazione /valutazione e, pur non citando Mario Gattullo (l’unico docimologo di statura internazionale di cui la cultura italiana si può davvero vantare )ne costituisce, di fatto e di diritto, un sicuro continuatore ,se non altro per la cultura del dubbio che esercita con autentica capacità professionale da insegnante. Vogliamo prescindere ,e facciamolo pure per amor di patria ,dalla nomina della Preside di una scuola superiore paritaria della Compagnia delle Opere (= C.L.) a capo dell’Istituto(I.N.Val.S.I.,appunto) cui è affidato il compito di preparare e far somministrare le prove nazionali alle scuole pubbliche,ma proviamo allora a seguire le comparazioni che il nostro professore fa della miriade di strumenti valutativi,per …vedere (in chiaro)l’effetto che fa…. parafrasando Jannacci!
E allora OCSE/PISA,SIALS, PIRLS,TIMSS,oltre alla frequentazione assidua dei vari Rapporti annuali, nazionali e regionali dell’Emilia Romagna sugli esiti degli esami finali almeno dal 2007 in poi,senza perdersi neppure l’analisi dei “venditori di Apocalisse”,autoctoni e oltre confine ,come documenta la mole bibliografica già citata.
Una sintesi fulminante: non è in discussione il dovere della scuola di valutare e di farsi valutare ,ma è dovere istituzionale della scuola denunciare la “canea” informativa che nasconde oggi,come ieri, anche nel pragmatico mondo anglosassone, che queste prove di valutazione non danno conto affatto della qualità degli apprendimenti in funzione della qualità degli insegnamenti,ma fotografano la realtà statica di una società frammentata e disgregata in cui ancora la selezione “di classe/censo” ha già incanalato i destini scolastici,formativi, e poi lavorativi, in funzione della provenienza socio-culturale. Ma il pragmatico mondo anglosassone,già nell’800 –J.Dewey,Democrazia ed educazione- segnalava il nesso tra queste due locuzioni e il segno del cambiamento che, nonostante tutto, percorre le strade e ivicoli della scuola pubblica sta anche in questo :un insegnante di Liceo che conosce bene la pedagogia di Dewey,il Tempo Pieno di Ciari,Rodari,Malaguzzi, il modulo della Scuola Elementare,in cui gioca anche la sua esperienza di genitore,senza avvallare l’idea di essere un “pedagogista naturale”,per il fatto di averli procreati quei figli,ma attento alla pedagogia e alla pratica professionale dei colleghi che coadiuvano la sua azione genitoriale…
.e gli studenti? professionalmente significativo il rifiuto di considerarli “somari” e “bulli” a favore di un approccio fra persone,fra cittadini/e che non stanno come “il lupo e la pecora” ,uno sopra e l’atro sotto,con buona pace-lo dico per me,indotta anche da quegli autori colleghi che anche il nostro non predilige particolarmente – del pre-giudizio che vede gli insegnanti della scuola elementare /primaria,forti di cultura pedagogica,mentre “dalle medie in su “,attenti solo alla loro materia /disciplina .Una sana contaminazione di culture e pratiche professionali si è insinuata nella Scuola Pubblica Autonoma, un acronimo a definizione costituzionale che non si quota in borsa ,ma che continua a costituire/resistere quale luogo ineliminabile di esperienza cognitiva,culturale,relazionale della cittadinanza contemporanea,da liberare dalla tante,troppe precarietà dentro e fuori .
Documentata, e ampiamente comparata, tutta la parte dei costi dell’istruzione, in rapporto anche al parametro del rapporto docenti/studenti che occupano sempre i pensieri e le opere degli opinionisti tuttologi,capaci di concionare, con identica competenza, nei “processi del lunedì” che si possono prolungare a piacere tutti i giorni della settimana. E anche qui cade una altro pregiudizio di insegnanti attenti solo al fatto pedagogico e/o disciplinare e indifferenti ai conti pubblici. Insomma:sono troppi o sono pochi gli insegnanti, spendiamo poco o spendiamo troppo,per il nostro futuro? Mettendo insieme tutti i numeri a disposizione si può rilevare che spendiamo meno della media OCSE e della media EU,se diamo ascolto al Rapporto Education at a Glance 2009 dell’OCSE,appunto,che rileva come al 2007 lo Stato italiano destina all’istruzione il 6,9% del proprio bilancio,a fronte della media UE dell’8,1% e della media OCSE del 9,0%! Questi calcoli tuttavia considerano solo la spesa statale e nessuno si addentra nel più complesso,ma non impossibile ,calcolo delle spese concorrenti degli Enti Locali,partners istituzionali privilegiati in tutta Europa dell’offerta formativa pubblica.
Anche le tabelle desunte di nuovo dal Rapporto 2009,di cui sopra, ci danno dei numeri diversi quanto a n° di studenti per docente. A parte la solenne banalità che nessuno sembra mai voler considerare, nel rapporto frontale insegnante/classe ,quando hai 28/32 studenti,di cui ,magari,11 stranieri e 5 con deficit, di quale ridondanza di insegnanti stiamo parlando? E come vanno poi considerate le due specificità tutte italiane?
a)gli insegnanti di sostegno -poco importa che li paghi l’istruzione o la sanità,sempre bilancio pubblico è,ma importa dal punto di vista pedagogico –culturale- organizzativo,perché l’integrazione nelle classi comuni si fa solo in Italia ! in tutto il resto d’Europa e del mondo si pratica ancora abbondantemente un percorso educativo - riabilitativo speciale ,in istituzioni separate,anche quando si occupano gli stessi spazi fisici,come in Francia;
b) gli insegnanti di religione cattolica ,selezionati dall’ordinario diocesano ,ma stipendiati dallo Stato italiano e sul rapporto docenti/ studenti di questa “libera “materia scolastica” non capita mai di vedere prodotti calcoli catastrofici di attentato alle pubbliche finanze …..
che quanto al punto a) stanno,in questi giorni, producendo ineffabili proposte di legge, da parte della maggioranza di governo, che per garantire continuità e qualità agli interventi di sostegno arrivano a prevedere che il costo sia a carico delle famiglie …..

Da approfondire:
  • quale ruolo la contemporanea genitorialità può e deve avere in questo percorso di crescita reciproca tra adulti e “minorenni”?
  • che funzione vogliamo esplicitare per tutti quelli che “non insegnano”,ma fanno parte della catena istituzionale e organizzativa che produce la scuola (ricordate che all’inizio le chiamavano proprio per quello che non facevano = non docenti) e anche adesso che li chiamiamo in acronimo A.T.A.,sembrano fratelli minori di ET…..
Da non dimenticare ,anzi da tenere sotto stretto controllo:
  • il valore legale del titolo di studio che, senza tema di esagerare, è l’art.18 ,della scuola pubblica
  • la rappresentanza sociale nella gestione delle scuole pubbliche che non sono aziende ,ma Enti Territoriali ,alla pari degli storici enti locali che compongono lo Stato di questa Repubblica .
Non abbiamo scherzato,quando,10 anni fa, abbiamo usato per la prima e unica volta l’istituto del Referendum confermativo,per dire “sì”anche a questo:
allo Stato la competenza di istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”,su cui già agisce la “legislazione concorrente delle Regioni”.
E già che ci siamo:vogliamo ricordare che la parola “concorrenza”,nella sua etimologia latina, grazie a quel “cum-con ” significa prima di tutto correre insieme !?…per garantire proprio quello che dice la Costituzione, al suo articolo 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Ecco questo è il mestiere della scuola, anche per il prof. De Michele e vale la pena leggerlo per continuare a riflettere, per “lavorarci”, ancora.