domenica 15 maggio 2011

La scuola dell’infanzia paritaria e convenzionata con il Comune. A Bologna si discute.

Paolo Rebaudengo


In Emilia-Romagna e in particolare a Bologna, a Reggio, a Modena, la scuola dell’infanzia ha una gloriosa storia e tradizione di avanguardia, sul piano sociale, culturale, pedagogico e di contributo all’economia del territorio e alla emancipazione delle donne, che oggi viene fatta pagare dal Governo di destra al Comune, lasciandogliene quasi tutto il peso economico. Infatti su 7.732 posti di scuola dell’infanzia, a Bologna, ben il 68% sono comunali, il 21% privati e solo l’11% statali.

La storia della scuola dell’infanzia statale non è altrettanto lunga. Tuttavia bisogna partire almeno dal 1968 (legge 444), seppure tentativi precedenti siano avvenuti nel 1962 con una legge che prevedeva l’istituzione della scuola materna statale accanto a quelle non statali, che non trovò applicazione per la fine anticipata della legislatura, e nel 1964, quando si discusse a lungo (anche sulla possibilità che potessero insegnarvi maestri di genere maschile) su un provvedimento che venne respinto dalla Camera. Il 1968 fu un anno buono per i bambini: nacque “l’Ordinamento della scuola materna statale". Ma solo trent’anni dopo, con la legge Berlinguer del 2000, il sistema dell’istruzione ha incluso la scuola, finalmente non più denominata “materna” nella sua articolazione: "il sistema educativo di istruzione si articola nella scuola dell'infanzia, nel ciclo primario…".

Importantissimi gli Orientamenti ministeriali del 1991: alle bambine e ai bambini vengono riconosciuti " i diritti inalienabili - sanciti anche dalla nostra Costituzione e da dichiarazioni e convenzioni internazionali all'educazione, al rispetto dell'identità individuale, etnica, linguistica, religiosa, sui quali si fonda la promozione di una nuova qualità della vita intesa come grande finalità educativa del tempo presente…..

Ma a tutt’oggi la scuola dell’infanzia non rientra nell'obbligo di istruzione, nonostante sia frequentata da più del 90% dei bambini dai tre ai sei anni. Un orientamento nel senso dell’obbligo per almeno due anni di scuola dell’infanzia venne formulato dall’ultimo Governo Prodi, che tuttavia non fece in tempo a realizzarlo.

La scuola dell’infanzia, secondo l’art. 2 della legge 543/2003 (riforma Moratti), ha durata triennale e concorre all'educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale delle bambine e dei bambini promuovendone le potenzialita' di relazione, autonomia, creativita', apprendimento, e ad assicurare un'effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto della primaria responsabilita' educativa dei genitori, essa contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei bambini e, nella sua autonomia e unitarieta' didattica e pedagogica, realizza la continuita' educativa con il complesso dei servizi all'infanzia e con la scuola primaria. E' assicurata la generalizzazione dell'offerta formativa e la possibilita' di frequenza della scuola dell'infanzia; alla scuola dell'infanzia possono essere iscritti secondo criteri di gradualita' e in forma di sperimentazione le bambine e i bambini che compiono i 3 anni di eta' entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento, anche in rapporto all'introduzione di nuove professionalita' e modalita' organizzative.





Dunque, sia pur con molte cautele, viene affermato un diritto alla scuola dell’infanzia. Diritto per la verità negato ogni qualvolta sono stati richiesti tutti i docenti delle sezioni statali per concretizzare quel diritto. L’allora sottosegretaria all’Istruzione Valentina Aprea, alla delegazione di sindaci del territorio bolognese guidati dall’assessore provinciale all’Istruzione disse che si trattava sì di un diritto ma non di un dovere e che quindi il Ministero non era tenuto a fornire tutti i docenti necessari. Aggiunse anche che, in fondo, ai bambini non avrebbe fatto male stare a casa con la mamma……

Il Ministro Giuseppe Fioroni, succeduto nel 2006 alla Moratti, affermò che “lo sviluppo, quantitativo e di qualità, della scuola d'infanzia fa parte a pieno titolo delle politiche per le pari opportunità di uomini e donne rispetto al lavoro.”

Con il DM 31.7.2007 vengono formulate indicazioni unitarie per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo: “a cominciare dall’anno scolastico in corso, cioè 2007-2008, le scuole dell’infanzia e del primo ciclo dovranno ispirarsi, per la redazione del loro piano di offerta formativa, alle nuove indicazioni per il curricolo”. Al centro di ogni progetto educativo deve essere posta la “persona”, come essere unico ed irripetibile. E anche per l’infanzia vale la consegna alla scuola del compito di educare istruendo (la scuola deve consegnare il patrimonio culturale che ci viene dal passato, perché non vada disperso e possa essere messo a frutto; poi ha il compito di preparare al futuro, accompagnando i giovani verso la vita adulta e fornendo loro quelle competenze indispensabili per essere protagonisti all'interno del contesto economico e sociale in cui vivono; infine deve accompagnare il percorso di formazione personale dello studente, sostenendo la sua ricerca di senso ed il faticoso processo di costruzione della propria personalità).
Tutti gli obbiettivi contenuti nelle indicazioni dunque "possono essere raggiunti fin dalle prime fasi della formazione”.

La scuola dell’infanzia a Bologna copre praticamente il 100% delle richieste. Negli ultimi due anni con qualche scarto rispetto alla domanda di tempo pieno e anche di prima iscrizione poiché il Ministero non ha dato seguito alla richiesta di tutti i docenti necessari.

I bambini iscritti nelle scuole dell’infanzia statali sono 841, nella scuole comunali 5.269, nelle scuole private paritarie 1.600. La quota maggioritaria fa dunque capo al Comune, con la percentuale più alta in Italia e anche in Emilia-Romagna e in provincia, per ragioni storiche, rispetto alle quali dovrebbero tuttavia oggi prevalere le ragioni normative e ordinamentali più recenti.

L'introduzione di un "sistema pubblico integrato di scuola dell'infanzia a gestione mista comunale, statale, autonoma" basato su "un'apposita convenzione fra l'amministrazione comunale e le scuole dell'infanzia autonome" risale alla delibera n. 452 del 14 dicembre 1994. Il modello di convenzione stipulato fra il gestore di scuola dell'infanzia privata e il Quartiere prevede:
la collaborazione per l'integrazione dell'offerta;
l'accoglienza di tutti bambini in età;
il mantenimento di livelli di qualità;
la vigilanza igienico sanitaria;
la partecipazione delle famiglie alla vita delle scuole;
l'adozione degli Orientamenti educativi della scuola dell'infanzia statale;
l'adeguamento alla normativa statale vigente per quanto riguarda il rapporto tra numero degli insegnanti e numero delle sezioni tenuto conto dei contratti nazionali di settore.


Le sovvenzioni alle scuole dell’infanzia paritarie, ove si voglia riconoscere il loro ruolo sussidiario (e fatte salve le riserve di carattere costituzionale) allo Stato (e non più al Comune, che a sua volta oggi svolge un ruolo sussidiario a quello dello Stato), dovrebbero essere erogate prevalentemente se non esclusivamente dallo Stato.

Esse hanno ricevuto finanziamenti crescenti nel tempo, tanto dal Comune quanto dallo Stato. Dal Comune, a partire dal 1995 (delibera 452 del 1994) hanno ricevuto circa 8.000 euro all’anno per sezione (per un totale di 239.300 euro nel 1995) sino a 12.000 euro per sezione nel 2010 (che sale a 14.450 euro calcolando anche il finanziamento alle scuole indipendentemente dal numero di sezioni e dal contributo per il coordinamento pedagogico), per un totale nel 2010 di 1,055 milioni di euro (650 euro a bambino iscritto). Si tratta di 73 sezioni (dato 2009) distribuite su 28 scuole, che ospitano complessivamente 1.622 bambini.

A questi contributi si aggiungono quelli statali (14.427 euro a sezione, per un totale di 1,053 milioni) e quelli regionali, legati a progetti di miglioramento qualitativo dell’offerta (un totale di 182.000 euro nel 2010).

Quindi le scuole private paritarie ricevono complessivamente dal pubblico 2,290 milioni di euro per anno come contributo per il finanziamento della gestione di 73 sezioni (1.412 euro a bambino).
Con quelle risorse il Comune potrebbe finanziare 10-12 sezioni comunali. Dovrebbe però, per finanziare le altre 60 sezioni che mancherebbero, mettere a bilancio altri cinque milioni di euro all’anno, oltre ai costi fissi e generali e oltre alla costruzione e allestimento di 73 aule, per un costo di circa 29 milioni.

Attualmente il Comune stanzia circa 20 milioni di euro all’anno per erogare il servizio per la scuola dell’infanzia a 5.269 bambini (3.800 euro a bambino, oltre ai costi di ammortamento e manutenzione degli immobili e i costi fissi e generali).

E’ probabile che solo una parte (non sappiamo quanta) dei bambini che frequentano una scuola paritaria opterebbe per la scuola comunale (e perché non statale?). Tuttavia questa parte deve avere il diritto di frequentare una scuola non confessionale. Si tratta quindi di conoscere quanti bambini frequentano una scuola paritaria per scelta o per mancanza di alternative. Va però aggiunto che in quest’ultimo caso deve essere lo Stato e non il Comune a farsene carico.

Con una conferenza stampa svoltasi sabato 5 marzo nei locali della Chiesa Evangelica Metodista di Bologna, il Comitato articolo 33 ha presentato il quesito referendario sui finanziamenti comunali alle scuole private paritarie, depositato in Comune due giorni prima. Oltre al Circolo UAAR di Bologna, sono promotori del comitato: Assemblea Genitori e Insegnanti di Bologna, Comitato bolognese Scuola e Costituzione, Comitato genitori nidi e materne, Federazione Lavoratori Conoscenza – CGIL, Rete Laica Bologna, USB Bologna.





La presidente del comitato promotore Carla Codrignani e il portavoce Maurizio Cecconi hanno illustrato le ragioni per cui 330 cittadini chiedono che i bolognesi possano dire a loro sulla scelta del Comune di destinare ogni anno 1.055.000 euro per le scuole private paritarie. Una scelta arbitraria, in quanto nessuna legge obbliga il Comune a sottrarre risorse alla scuola di tutti per consegnarli a scuole private ideologicamente orientate.
Con quella cifra si potrebbero attivare 10-12 sezioni di scuola dell’infanzia, sufficienti a coprire le richieste in lista d’attesa.

Per il circolo UAAR di Bologna è intervenuto il portavoce Roberto Grendene, ricordando come non sia solo un problema di portafogli, ma anche di libertà di coscienza: il Comune di Bologna sceglie di non soddisfare le richieste di scuola pubblica e laica, obbligando le famiglie a consegnare i propri figli a scuole ideologiche religiose. Una discriminazione e una svendita della laicità della scuola fatte nel nome della “sussidiarietà”, termine velenoso con il quale si nascondono finanziamenti vietati dalla Costitizione e accondiscendenza alle pretese sempre maggiori delle gerarchie ecclesiastiche.

Le ragioni esposte dal Comitato non possono essere ignorate, anche per la qualità politica delle sue componenti. Né le sole ragioni economiche possono avere il sopravvento. Solo una “trattativa” Comune-Stato (insieme alla Regione) può trovare una soluzione alle problematiche esposte, probabilmente in via graduale ma certa, garantendo il trasferimento a carico dello Stato degli oneri oggi in capo al Comune e il mantenimento della qualità didattico-pedagogica e del tempo pieno della scuola comunale.

Tuttavia, da subito devono essere chiariti alcuni punti, parte dei quali sollevati dal Comitato e condivisibili:

1) le scuole private paritarie non possono rifiutare l'iscrizione di un alunno (legge 62/2000) né possono discriminare gli studenti portatori di handicap o quelli appartenenti a famiglie non cattoliche. Nonostante ciò, le richieste d'iscrizione rifiutate ci sono. In intere scuole private paritarie non c'è nemmeno un bambino/a con handicap, come la “Kinder House”, oppure sono scuole solo al “femminile”, come le “Cerreta”, o scuole che richiedono il certificato di battesimo.
2) I costi di iscrizione a quelle scuole vanno da 200 a 800 euro al mese. Il contributo pubblico non appare compatibile con scuole “di lusso” con tariffe che arrivano sino a 8.000 euro all’anno e sono pertanto riservate a famiglie molto benestanti.
3) Occorre anche una garanzia e il controllo circa la qualificazione dei docenti delle scuole paritarie, il loro trattamento economico non inferiore a quello dei docenti statali e comunali, la garanzia di un loro reclutamento non discriminatorio per ragioni di fede religiosa e la libertà di insegnamento.